C’era una volta…

C’era una volta un albero con dei rami così lunghi e fitti
da togliere il sole ai suoi sfortunati vicini.
Era molto generoso, specialmente con gli uccellini,
li ospitava con tanto amore
che loro non potevano fare a meno di ricambiarlo
togliendogli tutti i vermetti che potevano danneggiarlo.
Nonostante tutto questo era sempre molto triste
perché nascondeva un piccolo segreto…
Nell’angolino più buio e riparato,
tra i rami più fitti,
c’era un piccolo nido vuoto.
Lui lo proteggeva da tutti
e fino ad oggi nessuna famiglia d’uccellini
era riuscita ad impadronirsene,
neppure con la forza.
Questo piccolo nido gli ricordava una storia molto triste,
una storia che non riusciva più a togliersi dalla mente.
In una giornata d’ottobre di molti anni fa
vi nacque un piccolo uccellino,
Era abbastanza bruttino e spennacchiato ed in più era stonato,
Il suo cip cip faceva rattrappire tutte le foglie del bosco,
Ma era dolcissimo e soprattutto era solo,
I suoi genitori erano morti nel disperato tentativo
Di proteggerlo dalle insidie del bosco.
L’albero lo vide così piccolo e indifeso
Che non poté fare a meno di amarlo e proteggerlo.
Lo copriva con le foglie più grandi nelle fresche serate d’autunno
Cercando di dargli il calore che solo la sua mamma
avrebbe potuto dargli.
Lo nutriva,
avvicinandogli al becco tutti i vermetti che riusciva a trovare.
Il tempo passava e il piccolo uccellino era ormai sicuro
Che quell’imponente albero fosse la sua mamma
E molte volte si ritrovò a guardarlo con tanto amore
E devozione da farsi spezzare il cuore.
Fu tempo di imparare a volare e lui,
Forse solo per istinto,
Si mise a saltellare da un ramo all’altro.
Accadeva spesso che l’albero si ritrovò a raccoglierlo
Ancora spaventato per il volo per poi riporlo sul ramo più vicino,
Lo ricompensava il suo piccolo sguardo pieno d’amore e di gratitudine.
Arrivò l’inverno e non bastavano quelle grandi foglie
a proteggerlo dal freddo intenso,
L’albero fece l’impossibile ma
il piccolo uccellino tremava sempre di più.
Si ammalò, non riusciva quasi più a respirare,
E le sue piume erano ormai bagnate dal sudore e dalla febbre.
Morì il giorno dopo,
Con il capino appoggiato ad un tenero ramo
E con lo sguardo pieno di gratitudine e d’amore
Per colui che era stato capace di donargli
tutto se stesso incondizionatamente.
L’albero lo mise con una dolcezza mai vista
in un’intercapedine del suo tronco,
Lo coprì con foglie fresche
e come guanciale gli mise una piccola castagna.
Lo guardò a lungo e si rese conto,
Solo in quel momento,
Di dover continuare a vivere senza di lui.
Arrivò immancabilmente la primavera
e con essa la vita,
ma l’albero non sorrideva più,
aveva nel cuore quel piccolo uccellino
stonato e spennacchiato che
con il suo amore era riuscito a farlo sentire importante.

Adry











Nonna, nonnina…dai…me la racconti?
Cosa ti devo raccontare piccina mia?
Quella storia, quella di Ingrid…
Tanto, tanto tempo fa, proprio vicino alla nostra casa,
c’era l’inizio di un grande bosco.
L’ingresso era preceduto da un cancello di ferro
senza serratura e tanta erba incolta ne impediva
quasi l’apertura.
Io ero bambina a quel tempo, avevo circa la tua età,
e restavo lì a guardarlo per ore, affascinata, conoscevo
ogni gioco fatto dalla ruggine sulle sue inferriate e
riuscivo persino a vederci delle immagini fantastiche…
ma non avevo il coraggio di oltrepassarlo.
Un pomeriggio passeggiavo con la mia gattina tra
le braccia quando con un balzo saltò giù e si mise a correre
in direzione del cancello e lo oltrepassò.
Dimenticai le mie paure e la seguii, c’era un piccolo sentiero
formatosi tra la fitta vegetazione e mi addentrai quando
ad un tratto la vidi.
Era piccola, vestita di luce, con delle ali vibranti che
parevano cosparse da brillantini, era seduta
su una foglia di un albero e mi sorrideva senza parlare.
Solo allora mi accorsi che la mia gattina era
accovacciata ai piedi dello stesso albero e questo mi rassicurò,
non ero sola!
Mi avvicinai ancora di più a quell’esserino splendente
quando ad un tratto mi parlò.
Mi disse che si chiamava Ingrid ed era una delle tante
fatine che vivevano in quel magico bosco.
Mi parlò di lei e delle sue compagne, mi disse che
conoscevano il linguaggio degli animali e che all’imbrunire
amavano raccontarsi le loro esperienze.
Mi disse che il vento raccontava loro storie di paesi
lontani, che le diceva se da qualche parte del mondo
c’era qualche bambina o bambino triste in modo che
loro potessero donargli i sogni più belli.
Iniziò a farsi sera e Ingrid mi pregò di tornare a casa,
ma mi disse che, finchè io avessi creduto in loro, quel
bosco sarebbe rimasto sempre lì visibile ai miei occhi.
Fu un’amicizia che durò molto tempo fino a che un
giorno non riuscii più a vedere il bosco, era rimasto solo
un cancello socchiuso e arrugginito che non portava
da nessuna parte.
Mi accorsi di essere diventata adulta, di essermi lasciata
alle spalle la mia infanzia e i miei sogni e piansi, le lacrime
scorrevano copiose sulle mie guance, ma sorridevo
perché sapevo che il ricordo di Ingrid e del bosco magico
mi avrebbe accompagnata per tutta la vita.

scritta da me per Fata Daniela













Thank you for loving me
Bon Jovi